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A CHE SERVE LA LUCE? PASOLINI E LE CENERI DI GRAMSCI



Scarica il testo integrale del poemetto http://web.tiscali.it/minores/Ceneri_di_Gramsci.pdf

Originariamente apparsa su Nuovi Argomenti del novembre-febbraio 1955-56, racconta di una primavera romana sporca e impura: Non è di maggio quest’impura aria.
Il buio giardino straniero è proprio il cimitero acattolico e Pasolini comincia un colloquio immaginario con Gramsci, a lui si rivolge: Tu giovane, in quel maggio in cui l’errore era ancora vita. Il maggio italiano è lontano, come l’ideale che illumina delineato da Gramsci, dalla sua magra mano. Tutto oggi è silenzioso, proprio come quel cimitero.
Il poeta, Pasolini, è troppo lontano da colui a cui dedica i suoi versi: attratto da una vita proletaria / a te anteriore, è per me religione / la sua allegria, non la millenaria / sua lotta: la sua natura, non la sua / coscienza.
Quello che prova per il proletariato è un astratto amore.

Le ceneri di Gramsci


I


Non è di maggio questa impura aria
che il buio giardino straniero
fa ancora più buio, o l’abbaglia

con cieche schiarite… questo cielo
di bave sopra gli attici giallini
che in semicerchi immensi fanno velo



alle curve del Tevere, ai turchini
monti del Lazio… Spande una mortale
pace, disamorata come i nostri destini,

tra le vecchie muraglie l’autunnale
maggio. In esso c’è il grigiore del mondo,
la fine del decennio in cui ci appare

tra le macerie finito il profondo
e ingenuo sforzo di rifare la vita;
il silenzio, fradicio e infecondo…

Tu giovane, in quel maggio in cui l’errore
era ancora vita, in quel maggio italiano
che alla vita aggiungeva almeno ardore,

quanto meno sventato e impuramente sano
dei nostri padri – non padre, ma umile
fratello – già con la tua magra mano

delineavi l’ideale che illumina
(ma non per noi: tu, morto, e noi
morti ugualmente, con te, nell’umido

giardino) questo silenzio. Non puoi,
lo vedi?, che riposare in questo sito
estraneo, ancora confinato. Noia

patrizia ti è intorno. E, sbiadito,
solo ti giunge qualche colpo d’incudine
alle officine di Testaccio, sopito

nel vespro: tra misere tettoie, nudi

mucchi di latta, ferrivecchi, dove
cantando vizioso un garzone già chiude

la sua giornata, mentre intorno spiove


II

Tra i due mondi, la tregua, in cui non siamo.
Scelte, dedizioni… altro suono non hanno
ormai che questo del giardino gramo

e nobile, in cui caparbio l’inganno
che attutiva la vita resta nella morte.
Nei cerchi dei sarcofaghi non fanno (...)


III

Uno straccetto rosso, come quello
arrotolato al collo ai partigiani
e, presso l’urna, sul terreno cereo,

diversamente rossi, due gerani.
Lì tu stai, bandito e con dura eleganza
non cattolica, elencato tra estranei

morti: Le ceneri di Gramsci… Tra speranza
e vecchia sfiducia, ti accosto, capitato
per caso in questa magra serra..

alla tua tomba, al tuo spirito restatoquaggiù tra questi liberi (...)






IV


Lo scandalo del contraddirmi, dell’esserecon te e contro di te; con te nel cuore,in luce, contro di te nelle buie viscere;


del mio paterno stato traditore–
 nel pensiero, in un’ombra di azione –mi so ad esso attaccato nel calore


degli istinti, dell’estetica passione;attratto da una vita proletariaa te anteriore, è per me religione


la sua allegria, non la millenariasua lotta: la sua natura, non la suacoscienza; è la forza originaria


dell’uomo, che nell’atto s’è perduta,a darle l’ebbrezza della nostalgia,una luce poetica: ed altro più


io non so dirne, che non siagiusto ma non sincero, astrattoamore, non accorante simpatia…


Come i poveri povero, mi attaccocome loro a umilianti speranzecome loro per vivere mi batto


ogni giorno. Ma nella desolantemia condizione di diseredato,io possiedo: ed è il più esaltante


dei possessi borghesi, lo statopiù assoluto. Ma come io possiedo la storia,essa mi possiede; ne sono illuminato:





ma a che serve la luce?



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