da Dino Campana. Viaggio a Montevideo. Commento di Marco Onofrio/
Una percezione filtrata e trasformata attraverso la memoria: «la percezione, sollecitata dalla memoria spaziale, opera scarti visionari con messe a fuoco espressioniste tese a restituire l’immagine latente delle cose viste e ricordate».
Così scrive Ida Li Vigni a proposito di “Viaggio a Montevideo”, nel suo Orfismo e poesia in Dino Campana, Genova, il melangolo, 1983. Campana, cioè, scrive ricordando il suo viaggio in Sud America (e ne testimoniano i verbi al passato).
Ma perché la percezione è “sollecitata” e non piuttosto incarnata dalla “memoria spaziale”? Quasi che egli stia documentando in presa diretta le impressioni del viaggio e che queste vengano straniate da precedenti dati memoriali (come d’altronde è prassi abituale nei Canti Orfici).[...]
Anche qui, come ne “La Notte”, “visione” equivale integralmente a “ricordo” (e viceversa). Campana costruisce una “dissolvenza visiva” sincronizzando la propria “cinepresa memoriale” al lento movimento della nave che si allontana dalla costa. Dal ponte della nave egli vide svanire nel verde i colli di Gibilterra e, mentre la terra scura celava dentro il crepuscolo d’oro come una melodia blu di un’ignota giovane solitaria scena, egli vide ancora tremare una viola sulla riva dei colli…
È una fra le possibili letture dei versi iniziali, fra i più ambigui e inafferrabili dell’intera poesia campaniana – ciò, tuttavia, non impedisce di intuire inequivocabilmente il contesto, la situazione che il poeta vuole “suggerire” oltre la logica dei costrutti, oltre i vincoli del “discorso” poetico:
Campana infatti «scompone la sintassi in funzione del lessico, cioè arricchisce i significati in un tessuto di rapporti semantici nuovi, e con tale procedimento linguistico ridisegna il mondo, e lo sguardo dell’uomo sul mondo» (Ceragioli).
Traspare la percezione miracolosa di una realtà sola con se stessa, “ignota”, cui il soggetto non sta dinanzi, non partecipa fisicamente. Una sorta di prodigio ottico, di rifrazione oltre ogni legge del mondo (e possibilità umana) grazie a cui il poeta, dal ponte della nave, a diversi chilometri di distanza ormai, riesce a vedere, attraverso lo schermo traslucido dell’aria, la sagoma di un fiore che sta tremando sui colli al crepuscolo. E così abbraccia, cattura, campisce anche gli spazi remoti ove posano e illanguidiscono i silenzi del cielo sopra la distesa marina.
La poesia ha una struttura a blocchi contrapposti senza una logica causale o spazio temporale, che ricorda i quadri cubisti. solo il volo degli uccelli scandisce i blocchi temporali.
Riconoscibile l'opposizione vecchio/nuovo mondo, le matrone dagli occhi torbidi e angelici e la fanciulla occhi lucenti e vesti al vento
riconoscibile il cambio di soggettività dall'io (v.1) al noi (v.24)
Il contrappunto tra i perfetti e gerundi che danno idea di simultaneità.
Campana cerca la Palingenesi, la purezza primordiale, fuggendo dall'Europa terra così raffinata da essere decadente. Per Campana la Natura è un mistero. Il mondo reale è figura del mondo celeste. Come lo scriba di Mario Luzi che, incapace di capire il male sulla terra cerca la sua risposta nella scrittura.
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