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Miriam Gaudio: ALESSANDRO MANZONI - Adelchi - testo, parafrasi, commento del coro dell'atto IV

ADELCHI (1822 pubblicata a Milano) – Coro atto IV: Ermengarda

- Caratteristiche delle tragedie
1. rifiuto delle unità aristoteliche (unità di luogo, di tempo, di azione = il fatto deve essere un unico)
» romanticamente pensa che le regole e gli schemi limitino la libertà dell’autore
2. rifiuto della finzione mitologica » considera la mitologia come la cosa più lontana dal Vero
3. scelta dell’argomento storico accuratamente ricostruito
4. divisione in 5 atti
5. presenza di cori (come le tragedie greche)
» due nel Conte di Carmagnola e due nell’Adelchiù
» il coro è un momento di riflessione sulle domande che la vicenda suscita nell’autore
6. non sono scritte per la declamazione ma per essere messe in scena
Dedica questa tragedia a sua Moglie Enrichetta, è un monumento alla sua tomba:
Alla diletta e venerata mia moglie, Enrichetta Luigia Blondel, la quale insieme con le affezioni coniugali e con la sapienza materna poté serbare un’animo verginale, consacra questo Adelchi l’autore dolente di non potere a più splendido e a più durevole monumento raccomandare il caro nome e la memoria di tante virtù.”
Cosa centra Dio con la storia, se esiste Dio allora perché c’è il male?
Ermengarda ha abbracciato il matrimonio con Carlo come suo compito. Al contrario Carlo riduce il matrimonio ad un fatto politico quando l’utilità si sposta, lui segue il vantaggio

La fede cosa offre davanti alla morte di un’innocente?
Speranza, perché la sua sofferenza viene santificata (Santa del suo patir)

La sua è una vita inutile?
Il suo dolore innocente viene accostato alla figura del Cristo sulla croce
la sua morte è definita martirio perché è una morte per testimoniare qualcosa
La sua sofferenza è il ricordare » lei spera che, andando in convento, trovi un senso a tutto questo
Un'eroina molto simile alla  Lucia de I promessi sposi,  nonostante Ermengarda sia una principessa mentre Lucia è una semplice popolana.



TESTO
PARAFRASI
Sparsa le trecce morbide
sull’affannoso petto,
lenta le palme, e rorida
di morte il bianco aspetto,
giace la pia, col tremolo
sguardo cercando il ciel.

Cessa il compianto: unanime
s’innalza una preghiera:
calata in su la gelida
fronte, una man leggiera
sulla pupilla cerula
stende l’estremo vel.

Sgombra, o gentil, dall’ansia
mente i terrestri ardori;
leva all’Eterno un candido
pensier d’offerta, e muori:
fuor della vita è il termine
del lungo tuo martir.

Tal della mesta, immobile
era quaggiuso il fato:
sempre un obblio di chiedere
che le saria negato;
e al Dio de’ santi ascendere,
santa del tuo patir.

Ahi! nelle insonni tenebre,
pei claustri solitari,
tra il canto delle vergini,
ai supplicati altari,
sempre al pensier tornavano
gl’irrevocati dì;

quando ancor cara, improvida
d’un avvenir mal fido,
ebbra spirò le vivide
aure del Franco lido,
e tra le nuore Saliche
invidiata uscì:

quando da un poggio aereo,
il biondo crin gemmata,
vedea nel pian discorrere
la caccia affaccendata,
e sulle sciolte redini
chino il chiomato sir;

e dietro a lui la furia
de’ corridor fumanti;
e lo sbandarsi, e il rapido
redir dei veltri ansanti;
e dai tentati triboli
l’irto cinghiale uscir;

e la battuta polvere
rigar di sangue, colto
dal regio stral: la tenera
alle donzelle il volto
volgea repente, pallida
d’amabile terror.

Oh Mosa errante! oh tepidi
lavacri d’Aquisgrano!
ove, deposta l’orrida
maglia, il guerrier sovrano
scendea del campo a tergere
il nobile sudor!

Come rugiada al cespite
dell’erba inaridita,
fresca negli arsi calami
fa rifluir la vita,
che verdi ancor risorgono
nel temperato albor;

tale al pensier, cui l’empia
virtù d’amor fatica,
discende il refrigerio
d’una parola amica,
e il cor diverte ai placidi
gaudii d’un altro amor.

Ma come il sol che reduce
l’erta infocata ascende,
e con la vampa assidua
l’immobil aura incende,
risorti appena i gracili
steli riarde al suol;

ratto così dal tenue
obblio torna immortale
l’amor sopito, e l’anima
impaurita assale,
e le sviate immagini
richiama al noto duol.

Sgombra, o gentil, dall’ansia
mente i terrestri ardori;
leva all’Eterno un candido
pensier d’offerta, e muori:
nel suol che dee la tenera
tua spoglia ricoprir,

altre infelici dormono
che il duol consunse; orbate
spose dal brando, e vergini
indarno fidanzate;
madri che i nati videro
trafitti impallidir.

Te dalla rea progenie
degli oppressor discesa,
cui fu prodezza il numero,
cui fu ragion l’offesa,
e dritto il sangue, e gloria
il non aver pietà,

te collocò la provida
sventura in fra gli oppressi:
muori compianta e placida;
scendi a dormir con essi:
alle incolpate ceneri
nessuno insulterà.

Muori; e la faccia esanime
si ricomponga in pace;
com’era allor che improvida
d’un avvenir fallace,
lievi pensier virginei
solo pingea. Così

dalle squarciate nuvole
si svolge il sol cadente,
e, dietro il monte, imporpora
il trepido occidente:
al pio colono augurio
di più sereno dì.
Con le trecce sciolte sul petto ansimante, con le mani abbandonate, con il volto madido del sudore di morte e pallido, giace la donna fedele, che rivolge gli occhi tremanti al cielo.


Finisce il compianto: viene innalzata una preghiera con cuore concorde: una mano delicata, calata sulla fronte fredda stende il velo della morte sugli occhi azzurri (di Ermengarda).

O donna gentile, sgombra la mente affannata dalle passioni terrestri; eleva a Dio un puro pensiero di offerta, e muori: il senso della tua agonia è al di fuori di questa vita.


Allo stesso modo, di questa donna triste, il destino immutabile era segnato in terra: di chiedere l’oblio, che le è sempre stato negato; e di salire al Dio dei santi, santa del suo dolore.

Ahi! Nelle notti insonni, per i chiostri solitari, tra il canto delle suore, agli altari dove pregava, sempre i ricordi tornavano involontari alla mente;


quando ancora amata (da Carlo), inconsapevole di un destino che non avrebbe mantenuto le promesse, respirò esaltata l’aria francese, e tra le spose alla corte franca era quella invidiata da tutte:

quando da un colle elevato,
incoronato il suo capo di capelli biondi da gemme, vedeva la caccia movimentata avvenuta nella piana, e vedeva il re con il suo ciuffo al vento chinato sulle redini sciolte;

e dietro di lui la foga dei cavalli che sbuffavano; e l’inseguimento e il veloce ritorno dei cani ansimanti; e l’uscire dell’irto cinghiale dai cespugli frugati e battuti;


e (vedeva) il sangue bagnare la polvere calpestata, colpito dalla freccia del re: e la donna gentile volgeva continuamente lo sguardo alle ancelle, pallida per una paura amabile.

Oh Mosa dal corso sinuoso! Oh caldi bagni di Acquisgrano! Dove, deposta la’appuntita maglia di ferro, il re guerriero andava a ripulire il nobile sudore del campo di battaglia!

Come la rugiada su un ciuffo d’erba inaridita, fresca per gli steli riarsi, fa rifluire la vita, facendoli risollevare verdi nell’albore tiepido;



così discende il ristoro di una parola amica al pensiero che la potenza dell’amore affatica, profanamente spietata, e rivolge il cuore alle tranquille gioie di un altro tipo di amore.

ma come il sole che, al suo ritorno, risale l’orbita infuocata, e con una fiamma costante incendia l’aria immobile, torna a inaridire i gracili steli appena risollevati, piegandoli al suolo;
Così l’amore prima assopito dal leggero oblio ritorna immortale, e assale l’anima impaurita, e richiama al ben conosciuto dolore le immagini che erano state scansate.


O donna gentile, sgombra la mente affannata dalle passioni terrestri; eleva a Dio un puro pensiero di offerta, e muori: nello stesso suolo in cui il tuo corpo deve essere ricoperto dalla morbida terra,

altre infelici sono morte consumate dal dolore; spose vedove a causa della spada, e vergini fidanzate invano; madri che hanno visto impallidire i loro figli trafitti.

Tu, discesa dall’empia stirpe degli oppressori per i quali il numero di morti fu motivo di vanto, per cui l’offesa recata agli altri popoli fu norma di ragione e il sangue fu diritto, e il non avere pietà motivo di gloria,
tu, che la provida sventura collocò tra gli oppressi: muori compianta e lieta; discendi a dormire in eterno con loro: nessuno maledirà le ceneri di chi non ha colpe.

Muori; e il volto senza più l’anima dentro nella pace ritorni com’era prima quando, inconsapevole di un destino illusorio, si figurava solo pensieri lievi e puri. Così


il sole calante si libera delle nuvole squarciate, e, dietro al monte, colora l’occidente tremante: al pio augurio straniero di un giorno più sereno.

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