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Laudi laudesi e flagellanti

da M. Lanari (vedi anche http://www.uciimtorino.it/europa/occmuslit_laudcorton.htm)

Tra il X e il XII secolo fiorirono in Italia numerose confraternite laico-cristiane ispirate da una più intensa partecipazione al culto e da un rifiuto dei costumi corrotti del clero. Scopo di queste confraternite era quello di lodare e ringraziare Dio attraverso la preghiera, la penitenza e il canto collettivo. La lauda di Francesco d'Assisi segna, negli Anni Venti del XIV secolo, il passaggio dalle laudes in latino alle laudi volgari. E' certamente a S. Francesco d'Assisi (1182-1226) che va attribuito il merito dei primissimi esperimenti di lirica religiosa interamente in volgare: le sue Laudes Creaturarum, componimento in volgare umbro (noto anche come Cantico delle Creature o Cantico di Frate Sole) costituiscono un importante esempio del nuovo genere.

Il termine lauda deriva da alcune definizioni già in uso nella pratica religiosa del tempo: con laus si indicava l'Alleluja della messa, i salmi 148,148,150. Dunque il canto di lode era già largamente presente nella liturgia tradizionale, ma assunse maggiore importanza e autonomia nel momento in cui queste confraternite presero ad operare con regolarità e in modo più esteso, arricchendo i repertori tradizionali con nuove laudes, le cui melodie furono composte o comunque riadattate da canti preesistenti.

Gli argomenti trattati spaziano tra quelli di tipo marianoù a ricorrenze liturgiche durante l'anno (Natività, Epifania, Pasqua, Pentecoste) e le laude di devozione nei confronti di alcuni santi come S. Francesco, S. Antonio da Padova, S. Michele. Queste laudes, dedicate a Gesù, alla Vergine e a santi, furono inizialmente basate su testi in latino, ma una svolta decisiva si ebbe nell'adozione del volgare, comprensibile a tutti i fedeli.



La lauda, cantata pubblicamente nelle vie e nelle piazze, esce dunque dall'ambito ristretto delle confraternite e, grazie all'uso del volgare, diventa un efficace mezzo di richiamo alla fede per il popolo.

Dalle laude derivano le Sacre rappresentazione, che sono il primo esempio di teatro (popolare) medievale

Jacopone da Todi

Jacopone scrive 92 laude, nella forma di ballate in settenari e ottonari. Ci sono laude liturgiche ma anche Laude individuali in cui si esprime la sua anima inquieta e tormentata.  Altre che si inseriscono nel filone del De contemptu mundi sono una rappresentazione impietosa della realtà umana e terrena, attaccata violentemente per la sua caducità e vanità. Talvolta, Jacopone si limita alla denuncia commossa e ardente; altre volte, come nel Pianto della Madonna (uno dei capolavori che fanno di lui la più grande personalità della nostra storia letteraria prima di Dante), traduce l'ansiosa passione umana in figure potentemente drammatiche, poste di fronte al mistero della saggezza divina.
Poi ci sono due laude personali e politiche  al contempo, che Jacopone dedica a due papi molto diversi:

O Papa Bonifazio molt'hai iocato al monno

Que farai Pier dal Morrone? Ei venuto al paragone

Wikisource: Altri testi di Jacopone da Todi

Il Laudario di Cortona

[...] A metà del Duecento, la lauda era ormai giunta alla sua forma definitiva, quella della ballata profana, dalla quale dovette trarre molte delle caratteristiche ritmiche e di carattere; e proprio in questo momento fu elevata, anche attraverso la sua preservazione oltre che diffusione e sviluppo tecnico, da semplice canto devozionale di trasmissione orale a raffinato esempio della più spontanea arte popolare religiosa. Sorsero così i famosi laudari, che custodirono la memoria della lauda fino ai nostri giorni. Ma dei circa duecento giunti sino a noi, soltanto due contengono, oltre ai testi, anche le melodie, assumendo per questo un'importanza fondamentale: il codice 91 dell'Accademia Etrusca di Cortona e il Magliabechiano II.I.122 della Biblioteca Nazionale di Firenze. Dei due, il primo è il più antico ed ha un valore artistico certamente maggiore, poiché rispecchia la lauda nella sua essenza più pura e perfetta, non ancora influenzata da certi gusti e tendenze al virtuosismo vocale, che in seguito ne causeranno la decadenza.

Il prezioso codice fu ritrovato nel 1876, da un bibliotecario della Biblioteca dell'Accademia Etrusca e del Comune di Cortona.
Rimasto nascosto per secoli, rovinato, fu ripulito e catalogato col numero 91; tuttora conservato nella stessa Biblioteca, rappresenta per la città di Cortona motivo di vanto e di prestigio, costituendo, almeno finora, la testimonianza più antica di melodia su testo in lingua volgare italiana, nonché un importantissimo documento letterario.

Il laudario appartenne alla Confraternita di S. Maria delle Laude, presumibilmente attiva dalla fine del Duecento in poi presso la chiesa di S. Francesco. 
Il volume è costituito da 171 carte di pergamena, e si può dividere in due parti: la prima, contiene 45 laude, probabilmente trascritte da una sola mano, tutte corredate delle rispettive melodie fino alla prima strofa, eccetto la quinta (Ave Maria gratia plena), per la quale è presente la melodia senza notazione. La seconda parte, più recente, ha inizio con l'indice dei componimenti della prima serie e prosegue con altre 19 laude prive di musica; fu compilata a varie riprese, grazie all'intervento successivo di più persone. Tra le due parti si frappone un quaderno di dieci carte, contenente altre due laude musicate (Benedicti e'llaudati e Salutiam divotamente), probabilmente inserito agli inizi del Trecento. Le melodie del codice ammontano dunque a 46. Il testo poetico è scritto in caratteri gotici.

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