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Giulio Cesare


"Così egli operò e creò, come mai nessun altro mortale prima e dopo di lui, e come operatore e creatore Cesare vive ancora, dopo tanti secoli, nel pensiero delle nazioni, il primo e veramente unico imperatore"
(Th. Mommsen, Storia di Roma antica - Libro V - Cap. XI)






Alle Idi di marzo del 44 a.C. Giulio Cesare fu ucciso durante una seduta del Senato di Roma, assassinato dai nemici a cui aveva concesso la sua clemenza, dagli amici a cui aveva concesso onori e gloria, da coloro che aveva nominato eredi nel suo testamento. Tutto il popolo di Roma lo pianse.



La congiura

Presero parte alla congiura più di 60 persone. A capo ne erano gli ex-pompeiani Caio Cassio, praetor peregrinus, e Marco Bruto, praetor urbanus
Cassio era il promotore e il vero capo della congiura. Marco Bruto aderì poco prima dell'assassinio.
I congiurati furono a lungo incerti se trucidarlo in Campo Marzio mentre faceva l'appello delle tribù in occasione delle votazioni, oppure se aggredirlo sulla via Sacra o all'ingresso del teatro, ma quando il Senato venne convocato per le Idi di marzo (15 marzo del 44 a.C.) nella Curia di Pompeo, preferirono quel tempo e quel luogo.
I congiurati portarono in Senato delle casse con le armi, facendo finta che fossero documenti. Inoltre appostarono un gran numero di gladiatori nel teatro di Pompeo, a poca distanza dalla Curia.

Le Idi di marzo - A casa di Cesare

Il giorno delle Idi Cesare non si sentiva bene. Calpurnia, sua moglie, aveva avuto dei tristi presentimenti e lo scongiurava di non andare in Senato. Gli indovini avevano fatto dei sacrifici e l'esito era stato sfavorevole. Cesare pensò di mandare Marco Antonio ad annullare la seduta del Senato. Allora i congiurati inviarono Decimo Bruto ad esortare Cesare a presentarsi in Senato perchè i senatori erano già da tempo arrivati e lo stavano aspettando. Annullare la seduta a quel punto sarebbe stata un'offesa per i magistrati.Cesare credette a Decimo Bruto, all'amico fedelissimo, addirittura nominato suo secondo erede nel testamento.

Le Idi marzo - In Senato

Verso l'ora quinta, circa le undici del mattino, Cesare si mise in cammino. Effettuò le pratiche religiose previste ed entrò nella Curia. Il console Marco Antonio rimase fuori trattenuto da Trebonio.
Cesare era senza la guardia del corpo di soldati ispanici perchè poco tempo prima aveva deciso di abolirla. Solo senatori e cavalieri erano i suoi accompagnatori.
Appena si fu seduto, i congiurati lo attorniarono come volessero rendergli onore.
Cimbro Tillio prese a perorare una sua causa. Cesare fece il gesto di allontanarlo per rinviare la discussione. Allora Tillio lo afferrò per la toga. Era il segnale convenuto per l'assassinio.
Publio Servilio Casca colpì Cesare alla gola. Cesare reagì, afferrò il braccio di Casca e lo trapassò con lo stilo. Tentò di alzarsi in piedi, ma venne colpito un'altra volta.
Cesare vide i pugnali avvicinarsi da ogni parte. Allora si coprì la testa con la toga e con la mano sinistra la distese fino ai piedi. Voleva che la morte lo cogliesse dignitosamente coperto.
Ricevette 23 ferite. Solo al primo colpo si era lamentato. Poi solo silenzio.
Cadde a terra esanime. I senatori fuggirono in preda al panico. Rimasero solo i congiurati.
Tre schiavi deposero il cadavere su di una lettiga e lo riportarono a casa.
Cesare aveva 56 anni.

Le Idi di marzo - Dopo l'assassinio

I congiurati, snudando i pugnali insanguinati, si riversarono nel Foro inneggiando alla libertà e a Cicerone. Inutilmente Bruto cercò di fermare i senatori terrorizzati. Antonio sfuggì alla morte perché Bruto fermò Cassio intenzionato a far fuori anche il console.
La notizia della morte di Cesare si sparse per Roma. I negozi vennero chiusi. Le strade divennero deserte.
A sera, nonostante i tentativi di Bruto, la calma non era ritornata in città e i congiurati decisero di ritirarsi in posizione sicura sul Campidoglio. Alcuni, che non avevano preso parte alla congiura, decisero di unirsi agli assassini sperando di averne vantaggio. Gaio Ottavio e Lentulo Spintere furono tra questi.

Il 16 marzo

Durante la notte Lepido, magister equitum, ossia comandante della cavalleria, venuto a conoscenza di quanto era avvenuto occupò il Foro con i soldati e all'alba parlò al popolo contro gli assassini, che rimanevano rinchiusi sul Campidoglio.

Il console Marco Antonio, che era per poco sfuggito alla morte e aveva trascorso la notte travestito da schiavo, saputo che Lepido aveva preso il controllo della situazione, convocò il Senato nel tempio della dea Tellus.

Alla riunione partecipò anche Cicerone, la cui presenza durante l'assassinio è invece molto dubbia. Si dice che non fosse stato nemmeno informato dai congiurati perché ritenuto non molto affidabile. 
In Senato si raggiunse un compromesso tra le varie componenti. Marco Lepido avrebbe voluto sfruttare la forza di cui disponeva, ma Marco Antonio, privo di soldati, non intendeva lasciare il potere a Lepido, per cui si accordò con gli ex-pompeiani.

Il Senato concesse l'amnistia agli assassini, decretò onoranze solenni per Cesare, confermò tutti i decreti e le nomine di Cesare, assegnò a Bruto e ai suoi incarichi prestigiosi fuori Roma.
Tuttavia i congiurati non si fidavano a scendere dal Campidoglio e chiesero in ostaggio il figlio di Lepido e il figlio di Antonio. Poi Bruto andò a cena da Lepido, di cui era parente e Cassio a cena da Antonio.

Il testamento di Cesare

Su richiesta del suocero Lucio Pisone, in casa del console Antonio, venne aperto il testamento di Cesare, scritto alle Idi di settembre del 45 nella sua villa sulla via Labicana e affidato in custodia alla Vestale Maggiore.
Eredi erano nominati i suoi tre pronipoti per parte delle sorelle: Caio Ottavio ereditava i tre quarti, Lucio Pinario e Quinto Pedio il quarto residuo. Caio Ottavio veniva adottato.
Tra i tutori venivano nominati molti di coloro che poi l'avrebbero ucciso. Decimo Bruto era indicato secondo erede, ossia sarebbe subentrato ad Ottavio qualora questi non fosse venuto in possesso dell'eredità.
Al popolo vennero lasciati i giardini intorno al Tevere e 300 sesterzi furono assegnati ad ogni cittadino romano.

I funerali

Davanti ai Rostri, nel Foro, fu costruita un'edicola dorata, che riprendeva le forme del tempio di Venere Genitrice. All'interno su di un trofeo venne esposta la toga insanguinata che Cesare indossava al momento dell'assassinio.
Su di un cataletto d'avorio coperto di porpora e d'oro, portato a spalla dai magistrati, venne portato il corpo di Cesare davanti ai Rostri e deposto all'interno dell'edicola.
Antonio fece leggere il senatoconsulto con cui i senatori si erano impegnati per la salvezza di Cesare. Poi tenne il discorso funebre.
Si discusse se cremare il corpo nel tempio di Giove Capitolino o nella Curia di Pompeo. Ma improvvisamente due uomini, con la spada al fianco e armati di giavellotto, gettarono due ceri accesi sul cataletto.
Immediatamente il popolo alimentò il fuoco portanto fascine e distruggendo le tribune di legno che erano state innalzate per la cerimonia.
I veterani delle legioni gettarono nelle fiamme le loro armi, le matrone i loro gioielli, i musicisti e gli attori, che avevano rappresentato gli antenati del defunto, le vesti indossate per l'ultimo trionfo di Cesare.
Intanto il popolo aveva preso dei tizzoni ardenti e si era diretto verso le case di Bruto e di Cassio per incendiarle, ma venne bloccato dai soldati.



Shakespeare: L'orazione funebre di Antonio

Nel Giulio Cesare(composto tra il 1599 e il 1600) , ispirato alla Vita di Cesare scritta da Plutarco, Shakespeare propone una visione problematica degli avvenimenti, esplorando la complessità morale dell’individuo che agisce nella storia esemplificata nella figura di Bruto, l’organizzatore della congiura contro Cesare: nonostante la giustezza delle sue motivazioni, la storia si ritorcerà contro di lui facendo di un tirannicida l’inconsapevole artefice del trionfo della tirannia. Nella famosissima scena qui riprodotta il popolo romano è convenuto nel foro per ascoltare i congiurati: Bruto spiega le sue ragioni, giustificando l’assassinio di Cesare con il nobile intento di agire per il bene di Roma; Marco Antonio pronuncia l’orazione funebre che ribalterà il giudizio del popolo sugli assassini.


Roma. Il Fòro. Entrano BRUTO e CASSIO, ed una folla di Cittadini. 
I Citt. Vogliamo avere soddisfazione; che ci venga data soddisfazione. 

Bru. Allora seguitemi, e datemi ascolto, amici. Cassio, voi andate nell’altra strada; dividiamo la folla. Coloro che vogliono udire me parlare, restino qui; coloro che vogliono sentire Cassio, vadano con lui, e sarà resa pubblica ragione della morte di Cesare. 

1° Citt. Io voglio sentire parlare Bruto. 
2° Citt. Io voglio udire Cassio, poi paragoneremo le ragioni che ci rendono ascoltandole ora separatamente. 

Esce Cassio con alcuni dei Cittadini. Bruto sale al rostro. 

3° Citt. Il nobile Bruto è salito. Silenzio! 
Bru. Siate pazienti sino alla fine. Romani, compatriotti, e amici! uditemi per la mia causa; e fate silenzio per poter udire: credetemi per il mio onore; ed abbiate rispetto pel mio onore affinché possiate credere: giudicatemi nella vostra saggezza, ed acuite il vostro ingegno affinché meglio possiate giudicare. Se vi è alcuno qui in questa assemblea, alcun caro amico di Cesare, a lui io dico che l’amore di Bruto per Cesare non era minore al suo. Se poi quell’amico domandi perché Bruto si sollevò contro Cesare, questa è la mia risposta: non che io amavo Cesare meno, ma che amavo Roma di più. Preferireste che Cesare fosse vivo, e morire tutti da schiavi, o che Cesare sia morto per vivere tutti da uomini liberi? In quanto Cesare mi amò, io piango per lui; in quanto la fortuna gli arrise, io ne godo; in quanto egli fu coraggioso, io l’onoro; ma in quanto egli fu ambizioso, io l’ho ucciso: vi sono lacrime per il suo amore, gioia per la sua fortuna, onore per il suo coraggio, e morte per la sua ambizione. Chi v’è qui sì abietto che sarebbe pronto ad essere schiavo? Se vi è, che parli; perché lui io ho offeso. Chi vi è qui sì barbaro che non vorrebbe essere romano? Se vi è, che parli; perché lui ho offeso. Chi vi è qui sì vile che non ami la sua patria? Se vi è, che parli; perché lui ho offeso. Aspetto una risposta. 
I Citt. Nessuno, Bruto, nessuno. 
Bru. Allora nessuno io ho offeso. Non ho fatto di più a Cesare di quello che voi farete a Bruto. Il giudizio della sua morte è registrato in Campidoglio; la sua gloria non è attenuata per ciò in cui fu degno, né i suoi torti esagerati per i quali soffrì la morte. 

Entrano ANTONIO ed altri, col corpo di Cesare. 

Ecco che giunge il suo corpo, pianto da Marc’Antonio, il quale, benché nessuna parte abbia avuto nella sua morte, ne riceverà il benefizio, un posto nella repubblica; e chi di voi non riceverà altrettanto? Con questo io parto; ché, come io uccisi il mio miglior amico per il bene di Roma, ho lo stesso pugnale per me stesso, quando piacerà alla mia patria di aver bisogno della mia morte. 
Tutti. Vivi, Bruto! vivi, vivi! 
1° Citt. Portatelo in trionfo alla sua casa. 
2° Citt. Dategli una statua con i suoi antenati. 
3° Citt. Sia egli Cesare. 
4° Citt. Le migliori qualità di Cesare saranno coronate in Bruto. 
1° Citt. L’accompagneremo alla sua casa con grida e con clamori. 
Bru. Compatriotti... 
2° Citt. Pace! Silenzio: Bruto parla. 
1° Citt. Pace, oh! 
Bru. Buoni compatriotti, lasciatemi partire solo, e, per amore mio, restate qui con Antonio. Rendete gli onori alla salma di Cesare, ed onorate il suo discorso che mira a glorificare Cesare, e che a Marc’Antonio con nostra licenza è concesso di fare. Vi supplico, non un solo uomo parta eccetto me, finché Antonio non abbia parlato. 

Esce. 

1° Citt. Fermi, oh! Udiamo Marc’Antonio. 
3° Citt. Che salga sulla pubblica cattedra; l’udremo. Nobile Antonio, sali. 
Ant. Per l’amore di Bruto, sono obbligato a voi. 
4° Citt. Che dice egli di Bruto? 
3° Citt. Egli dice che per amore di Bruto si sente obbligato a noi tutti. 
4° Citt. Sarà bene che egli non sparli di Bruto qui. 
1° Citt. Questo Cesare era un tiranno. 
3° Citt. Davvero, questo è certo: siamo fortunati che Roma ne sia libera. 
2° Citt. Silenzio! Udiamo ciò che Antonio può dire. 
Ant. O voi gentili Romani... 
I Citt. Silenzio, oh! Udiamolo. 
Ant. Amici, Romani, compatriotti, prestatemi orecchio; io vengo a seppellire Cesare, non a lodarlo. Il male che gli uomini fanno sopravvive loro; il bene è spesso sepolto con le loro ossa; e così sia di Cesare. Il nobile Bruto v’ha detto che Cesare era ambizioso: se così era, fu un ben grave difetto: e gravemente Cesare ne ha pagato il fio. Qui, col permesso di Bruto e degli altri – ché Bruto è uomo d’onore; così sono tutti, tutti uomini d’onore – io vengo a parlare al funerale di Cesare. Egli fu mio amico, fedele e giusto verso di me: ma Bruto dice che fu ambizioso; e Bruto è uomo d’onore. Molti prigionieri egli ha riportato a Roma, il prezzo del cui riscatto ha riempito il pubblico tesoro: sembrò questo atto ambizioso in Cesare? Quando i poveri hanno pianto, Cesare ha lacrimato: l’ambizione dovrebbe essere fatta di più rude stoffa; eppure Bruto dice ch’egli fu ambizioso; e Bruto è uomo d’onore. Tutti vedeste come al Lupercale tre volte gli presentai una corona di re ch’egli tre volte rifiutò: fu questo atto di ambizione? Eppure Bruto dice ch’egli fu ambizioso; e, invero, Bruto è uomo d’onore. Non parlo, no, per smentire ciò che Bruto disse, ma qui io sono per dire ciò che io so. Tutti lo amaste una volta, né senza ragione: qual ragione vi trattiene dunque dal piangerlo? O senno, tu sei fuggito tra gli animali bruti e gli uomini hanno perduto la ragione. Scusatemi; il mio cuore giace là nella bara con Cesare e debbo tacere sinché non ritorni a me. 
1° Citt. Mi pare che vi sia molta ragione nelle sue parole. 
2° Citt. Se tu consideri bene la cosa, a Cesare è stato fatto gran torto. 
3° Citt. Vi sembra, signori? Temo che uno peggiore di lui verrà al suo posto. 
4° Citt. Avete notato le sue parole? Non volle accettare la corona: è quindi certo che non era ambizioso. 
1° Citt. Se si troverà che è così qualcuno la pagherà ben cara. 
2° Citt. Pover uomo! I suoi occhi sono rossi come il fuoco dal piangere. 
3° Citt. Non v’è uomo a Roma più nobile di Antonio. 
4° Citt. Ora, osservatelo, ricomincia a parlare. 
Ant. Pur ieri la parola di Cesare avrebbe potuto opporsi al mondo intero: ora egli giace là, e non v’è alcuno, per quanto basso, che gli renda onore. O signori, se io fossi disposto ad eccitarvi il cuore e la mente alla ribellione ed al furore, farei un torto a Bruto e un torto a Cassio, i quali, lo sapete tutti, sono uomini d’onore: e non voglio far loro torto: preferisco piuttosto far torto al defunto, far torto a me stesso e a voi, che far torto a sì onorata gente. Ma qui è una pergamena col sigillo di Cesare – l’ho trovata nel suo studio – è il suo testamento: che i popolani odano soltanto questo testamento, che, perdonatemi, io non intendo di leggere, e andrebbero a baciar le ferite del morto Cesare, ed immergerebbero i loro lini nel sacro sangue di lui; anzi, chiederebbero un capello per ricordo, e morendo, ne farebbero menzione nel loro testamento, lasciandolo, ricco legato, alla prole. 
1° Citt. Vogliamo udire il testamento: leggetelo, Marc’Antonio. 
I Citt. Il testamento, il testamento! Vogliamo udire il testamento di Cesare. 
Ant. Pazienza, gentili amici, non debbo leggerlo; non è bene che voi sappiate quanto Cesare vi amò. Non siete di legno, non siete di pietra, ma uomini, e essendo uomini, e udendo il testamento di Cesare, esso v’infiammerebbe, vi farebbe impazzire: è bene non sappiate che siete i suoi eredi; ché, se lo sapeste, oh, che ne seguirebbe! 
4° Citt. Leggete il testamento; vogliamo udirlo, Antonio; dovete leggerci il testamento, il testamento di Cesare. 
Ant. Volete pazientare? Volete attendere un poco? Ho sorpassato il segno nel parlarvene. Temo di far torto agli uomini d’onore i cui pugnali hanno trafitto Cesare; invero, lo temo. 
4° Citt. Erano traditori: che uomini d’onore! 
I Citt. Il testamento! Il testamento! 
2° Citt. Erano canaglie, assassini: il testamento! Leggete il testamento! 
Ant. M’obbligate dunque a leggere il testamento? E allora fate cerchio attorno al corpo di Cesare e lasciate che io vi mostri colui che fece il testamento. Debbo scendere? E me lo permettete? 
I Citt. Venite giù! 
2° Citt. Scendete. 
3° Citt. Avrete il permesso. 

Antonio scende. 

4° Citt. In cerchio; state intorno. 
1° Citt. Lontani dalla bara; lontani dal corpo. 
2° Citt. Fate posto ad Antonio, al nobilissimo Antonio. 
Ant. No, non vi affollate intorno a me; state lontani. 
I Citt. State indietro! Posto! Andate indietro! 
Ant. Se avete lacrime, preparatevi a spargerle adesso. Tutti conoscete questo mantello: io ricordo la prima volta che Cesare lo indossò; era una serata estiva, nella sua tenda, il giorno in cui sconfisse i Nervii: guardate, qui il pugnale di Cassio l’ha trapassato: mirate lo strappo che Casca nel suo odio vi ha fatto: attraverso questo il ben amato Bruto l’ha trafitto; e quando tirò fuori il maledetto acciaio, guardate come il sangue di Cesare lo seguì, quasi si precipitasse fuori di casa per assicurarsi se fosse o no Bruto che così rudemente bussava; perché Bruto, come sapete, era l’angelo di Cesare: giudicate, o dèi, quanto caramente Cesare lo amava! Questo fu il più crudele colpo di tutti, perché quando il nobile Cesare lo vide che feriva, l’ingratitudine, più forte delle braccia dei traditori, completamente lo sopraffece: allora si spezzò il suo gran cuore; e, nascondendo il volto nel mantello, proprio alla base della statua di Pompeo, che tutto il tempo s’irrorava di sangue, il gran Cesare cadde. Oh, qual caduta fu quella, miei compatriotti! Allora io e voi, e tutti noi cademmo, mentre il sanguinoso tradimento trionfava sopra di noi. Oh, ora voi piangete; e, m’accorgo, voi sentite il morso della pietà: queste son generose gocce. Anime gentili, come? piangete quando non vedete ferita che la veste di Cesare? Guardate qui, eccolo lui stesso, straziato, come vedete, dai traditori. 
1° Citt. O pietoso spettacolo! 
2° Citt. O nobile Cesare! 
3° Citt. O infausto giorno! 
4° Citt. O traditori! Canaglie! 
1° Citt. O vista cruenta! 
2° Citt. Vogliamo essere vendicati. 
I Citt. Vendetta! Attorno! Cercate! Bruciate! Incendiate! Uccidete! Trucidate! Non lasciate vivo un solo traditore! 
Ant. Fermi, compatriotti! 
1° Citt. Silenzio, là! Udite il nobile Antonio. 
2° Citt. L’udremo, lo seguiremo, morremo con lui! 
Ant. Buoni amici, dolci amici, che io non vi sproni a così subitanea ondata di ribellione. Coloro che han commesso questa azione sono uomini d’onore; quali private cause di rancore essi abbiano, ahimè, io ignoro, che li hanno indotti a commetterla; essi sono saggi ed uomini d’onore, e, senza dubbio, con ragioni vi risponderanno. Non vengo, amici, a rapirvi il cuore. Non sono un oratore com’è Bruto; bensì, quale tutti mi conoscete, un uomo semplice e franco, che ama il suo amico; e ciò ben sanno coloro che mi han dato il permesso di parlare in pubblico di lui: perché io non ho né l’ingegno, ne la facondia, né l’abilità, né il gesto, né l’accento, né la potenza di parola per scaldare il sangue degli uomini: io non parlo che alla buona; vi dico ciò che voi stessi sapete; vi mostro le ferite del dolce Cesare, povere, povere bocche mute, e chiedo loro di parlare per me: ma se io fossi Bruto, e Bruto Antonio, allora vi sarebbe un Antonio che sommoverebbe gli animi vostri e porrebbe una lingua in ogni ferita di Cesare, così da spingere le pietre di Roma a insorgere e ribellarsi. 
I Citt. Ci ribelleremo. 
1° Citt. Bruceremo la casa di Bruto! 
2° Citt. Via dunque! Venite, si cerchino i cospiratori! 
Ant. Ascoltatemi ancora, compatriotti; ancora uditemi parlare. 
I Citt. Silenzio, oh! Udite Antonio, il nobilissimo Antonio. 
Ant. Amici, voi andate a fare non sapete che cosa. In che ha Cesare meritato il vostro amore? Ahimè, non sapete: debbo dirvelo allora: avete dimenticato il testamento di cui vi parlavo. 
I Citt. Verissimo, il testamento: restiamo ad udire il testamento. 
Ant. Ecco il testamento, e col sigillo di Cesare: ad ogni cittadino romano egli dà, ad ognuno individualmente, settantacinque dramme. 
2° Citt. Nobilissimo Cesare! Vendicheremo la sua morte. 
3° Citt. O regale Cesare! 
Ant. Ascoltatemi con pazienza. 
I Citt. Zitti, oh! 
Ant. Inoltre, egli vi ha lasciato tutti i suoi passeggi, le sue private pergole e gli orti nuovamente piantati, al di qua del Tevere; egli li ha lasciati a voi ed ai vostri eredi per sempre: pubblici luoghi di piacere, per passeggiare e per divertirvi. Questo era un Cesare! Quando ne verrà un altro simile? 
1° Citt. Giammai, giammai! Venite, via, via! Bruceremo il suo corpo nel luogo santo, e con i tizzoni incendieremo le case dei traditori. Raccogliete il corpo. 
2° Citt. Andate a prendere il fuoco. 
3° Citt. Abbattete le panche. 
4° Citt. Abbattete i sedili, le finestre, ogni cosa. 

Escono i Cittadini col corpo. 

Ant. Ed ora, che la cosa vada avanti da sé. Malanno, tu sei scatenato, prendi il corso che vuoi. 

Entra un Servo. 

Ebbene, giovane! 
Serv. Signore, Ottavio è già arrivato a Roma. 
Ant. Dov’è? 
Serv. Egli e Lepido sono in casa di Cesare. 
Ant. Ed ivi subito andrò a visitarlo: mi giunge a proposito. La fortuna è lieta e in questo umore ci concederà qualunque cosa. 
Serv. Ho udito dire che Bruto e Cassio han traversato cavalcando come pazzi le porte di Roma. 
Ant. Forse hanno avuto qualche notizia del popolo, come io l’avevo commosso. Conducimi da Ottavio.

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